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Patatine, caramelle, cola, pizzette, ciambelle… ANCORA ANCORA ANCORA… biscotti, lecca-lecca, gelati ANCORA ANCORA  ANCORA…

Ricordate Augustus Gloop, il ragazzino obeso ed ingordo protagonista del libro “La fabbrica del Cioccolato” di Roald Dahl?

L’ingordigia di Augustus lo portò a finire nel grande fiume di cioccolato, convogliato ed aspirato tra i resti della fabbrica.

Beh che adulto sarà diventato?

Forse sarà diventato il protagonista di qualche programma TV per perdere peso, o sarà immobilizzato in un letto, o ancora morto per un infarto… speriamo abbia preso qualche rimedio a tutte quelle abbuffate. Speriamo che qualcuno sia intervenuto.

L’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha riconosciuto l’obesità come una delle più importanti epidemie del millennio.

Ma se lo Junk Food (cibo spazzatura) è sempre più economico e sempre più disponibile, i sintomi reattivi legati all’alimentazione compulsiva sono sempre più associati a fattori di stress e di neglect emotivo

Seyle, nel 1976, definì per primo lo stress come “risposta aspecifica dell’organismo ad ogni richiesta effettuata su di esso”.

Appena nati i bambini, attraverso l’allattamento, ritrovano quella “fusione” con il corpo materno sperimentando quell’unione ormai persa. Winnicot definiva l’allattamento al seno la prima forma di comunicazione del bambino in grado di condizionare le future relazioni. Harrow, nel 1959, dimostrò, nel suo famoso esperimento con le scimmie, come il soddisfacimento della fame fosse legato al contatto fisico “caldo”.

Così insegniamo ai nostri figli a mangiare. 

Intono ai 6 anni l’irregolarità alimentare del bambino è una condizione normale ma già tra i 6 ed i 10 anni il comportamento alimentare è influenzato da quello dei genitori, dal modello che essi rappresenteranno per loro. In adolescenza, circa tra i 12 e i 14 anni, i nostri figli iniziano a strutturare sempre di più, anche autonomamente, quello che hanno imparato reiterando comportamenti anche disfunzionali.

Viviamo in un mondo ormai ipertecnologico, iperconsumista e iperrichiedente dove sembra che le parole d’ordine siano: ora e fretta. 

I bambini passano almeno 5 ore a scuola poi calcetto, compiti, piano, catechismo, progetto scuola, corso di inglese e che altro? 

Abbiamo iniziato a crescere bambini competitivi i cui fini sono quelli dei genitori stessi, suggerendogli sogni che assomigliano sempre più ad innesti che ad una vera e propria fioritura spontanea.

Spesso presi delle incombenze della vita quotidiana perdiamo il momento per vivere le nostre emozioni, i nostri affetti ed ancor più le nostre relazioni significative che diventano sempre più vincolate a momenti specifici. 

Gli unici momenti d’intimità tra i genitori ed i propri figli diventano il soddisfacimento del bisogno primario: LA FAME!

Le mamme del Sud, come la mia, rappresentano in pieno questo stereotipo: per cui la prima domanda è “hai mangiato?, per poi susseguirsi con “cosa ti preparo oggi?” “ti vedo sciupato”etc etc. Spesso queste domande sono sostitutive “a come ti senti?”

Il cibo diventa così strumento privilegiato per chiedere amore e vicinanza emotiva, il sostituto in busta di abbracci e carezze.

Nutrirsi diviene la metafora della relazione d’amore.

I bambini non sempre sanno dirci di cosa hanno bisogno o che sono stressati, ne spesso sanno di esserlo, ma noi cosa ci fermiamo a guardare? Tutti noi possiamo avere un settimana no così come i bambini, ma cosa può succedere se impara che mangiare diminuisce il malessere? Che l’unico “riempimento” emotivo è quello con il cibo?

I bambini si ritrovano soli, accompagnati delle luci della tv, ipnotizzati da sentimenti esasperati e non gli resta che allungare la mano e riempirla di pop-corn.

È importante chiarire che “vittime” di questo processo non sono solo quei bambini visibilmente obesi ma anche bambini che apparentemente sono in forma. Bisogna non fermarsi all’apparenza ma verificare l’alimentazione e soprattutto domandarci se lo strumentalizzano. 

Non sbagliamo se chiediamo al nostro pediatra di calcolare l’indice BMI del nostro bambino o se ci affidiamo a qualche nutrizionista per bilanciare l’alimentazione della nostra famiglia o se ci rivolgiamo ad uno psicologo se ci accorgiamo che il cibo rappresenta la fonte emotiva di nostro figlio. Non staremo facendo altro che “nutrirli” si, ma con qualcosa di più sano.

Bibliografia di riferimento

  • American Psychiatric Association. Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali. DSM-5 Edizione Italiana a cura di Massimo Biondi. Raffaello Cortina Editore, Milano, 2014.
  • Hormann E., Guoth-Gumberger M., L’allattamento del tuo bambino, Tecniche Nuove, 2011;
  • Negri P., Catanzani P., Allattare. Un gesto d’amore. Come vivere con serenità l’esperienza dell’allattamento, Bonomi, 2011
  • Recalcati M, Zuccardi Merli U. Anoressia, bulimia e obesità. Bollati Boringhieri, Torino, 2006.
  • Selye, H. (1976). Stress in health and disease. Butterworth’s, reading, Massachusetts.
  • Winnicott D. W., I bambini e le loro madri, Cortina, Milano, 1987; 

Sitografia:

  • www.salute.gov.it